In missione per sconfiggere il cancro
«Una tecnica da sola non può dare le risposte di cui abbiamo bisogno»
La prof.ssa Taroni e il suo gruppo di ricerca, nell’ambito del progetto SOLUS, hanno sviluppato un nuovo strumento di imaging medico in grado di determinare se le irregolarità rilevate dai programmi di screening del cancro al seno sono benigne o maligne.
Il cancro al seno è il tumore più comune fra le donne in Europa e nel mondo; sebbene l’introduzione dei programmi di screening abbia contribuito a salvare vite umane individuando il cancro in fasi più precoci, essi comportano anche il rischio di falsi positivi. Le donne che si sottopongono a scansioni di routine nel corso della loro vita hanno il 50% di possibilità di ottenere un risultato falso positivo. Per determinare quindi se la lesione sia effettivamente pericolosa o meno, sono necessarie biopsie invasive.
Il lavoro svolto presso l’Ospedale San Raffaele di Milano da parte di esperti che hanno costituito un unico gruppo per affrontare questo problema farà sì che la diagnosi del cancro in Europa e in tutto il mondo risulti più agevole e accurata.
Le pazienti al primo posto
Per ridurre l’impatto di queste biopsie invasive e migliorare l’esperienza delle pazienti, lo scanner sviluppato dalla prof.ssa Taroni e dal suo gruppo combina tre diversi tipi di imaging medico.
Mettendo insieme ultrasuoni, imaging ottico e ricostruzione ottica, è possibile determinare la forma, la densità e la composizione della lesione. E se ognuna di queste tecniche usata singolarmente dice qualcosa ai medici su una lesione, la loro combinazione in un unico dispositivo offre un quadro più completo. Grazie a queste informazioni, i medici sperano di poter determinare se una lesione individuata da una mammografia è benigna o maligna senza dover eseguire una biopsia, procedura invasiva che mette a dura prova le risorse mediche e crea notevole ansia alle pazienti.
Lo strumento è ora in fase di validazione clinica presso l’Ospedale San Raffaele di Milano, ma giungere a un prototipo funzionante non è stato sempre semplice. «La sonda conteneva diversi componenti elettronici molto sofisticati che dovevano essere tutti compressi in uno spazio molto piccolo», racconta la docente.
“Il lavoro svolto presso l’Ospedale San Raffaele di Milano da parte di esperti che hanno costituito un unico gruppo per affrontare questo problema farà sì che la diagnosi del cancro in Europa e in tutto il mondo risulti più agevole e accurata.
Anche dopo aver sviluppato un primo prototipo, è stato necessario produrre un secondo modello, vista la difficoltà di inserire in un unico dispositivo portatile le tre tecniche di imaging, che prevedevano laser e rilevatori appositamente progettati e persino tecnologia di raffreddamento ad acqua. Un impegno che è di per sé una sfida per qualsiasi gruppo di ricercatori, ma la distanza imposta dai lockdown legati alla pandemina di COVID-19 ha aumentato le difficoltà per i gruppi coinvolti in questo progetto, sparsi in tutta Europa.
Collaborazione internazionale
Se la logistica della collaborazione è stata resa più complessa dalla pandemia, la prof.ssa Taroni sottolinea prontamente la dedizione dei diversi ricercatori che hanno contribuito allo sviluppo dello scanner. Gli esperti provenienti da Francia, Italia e Germania, con diverse specializzazioni, hanno dato il loro apporto per i diversi tipi di imaging, mentre i ricercatori dal Regno Unito hanno contribuito alla ricostruzione ottica su base quotidiana.
«Tutti hanno fatto sicuramente più del previsto», sottolinea la docente. Sono stati coinvolti ricercatori di estrazione accademica, come lei, aziende private, ma anche i medici dell’Ospedale San Raffaele, sede del progetto.
L’ospedale ha una lunga tradizione nello screening e nella cura del tumore al seno, ma il personale, osserva la docente, si è anche dimostrato molto disponibile a collaborare a questa missione. «La ricerca è qualcosa che a loro piace» ma, «com’è ovvio, le pazienti vengono prima di tutto», quindi è particolarmente grata per il loro coinvolgimento.
Il contributo di un gruppo così eterogeneo è stato la chiave dell’esito positivo del loro lavoro. «Faccio ricerca in ambito accademico», osserva la prof.ssa Taroni «e a volte è difficile per noi entrare nel mondo reale», per cui è stato importante il contributo del dottor Pietro Panizza, responsabile dell’unità di radiologia senologica dell’ospedale.
In un'ottica futura, la docente è ottimista riguardo la prospettiva di lavorare insieme ad altre applicazioni della tecnologia che hanno sviluppato, ad esempio per valutare l’efficacia del trattamento chemioterapico. «Mi piacerebbe avere un’altra opportunità di collaborare ancora con le stesse persone», afferma.
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