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Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel mondo circa 16 milioni di persone restano in esilio per anni senza la prospettiva di un ritorno, di un reinsediamento o di un’integrazione nel luogo di arrivo. Questo cosiddetto sfollamento prolungato comporta instabilità economica, emarginazione sociale, insicurezza giuridica e incertezza per il futuro. Le soluzioni politiche spesso non riconoscono i bisogni reali degli sfollati e ne limitano le opportunità, anziché ampliarle.
Soluzioni sostenibili per lo sfollamento prolungato
Per comprendere meglio queste situazioni di sfollamento prolungato, il progetto TRAFIG, finanziato dall’UE, ha condotto ricerche empiriche in Africa, Asia ed Europa. Durante il periodo di tre anni e mezzo di svolgimento del progetto sono state coinvolte oltre 3 120 persone. La ricerca si è concentrata su cinque fattori che aiutano o ostacolano le persone a uscire dalle situazioni di sfollamento prolungato: i regimi di governance; le pratiche sociali e i mezzi di sussistenza locali; le reti e i movimenti transfrontalieri; le relazioni intergruppi tra sfollati e ospitanti; gli incentivi allo sviluppo per l’accoglienza dei rifugiati.
«Da oltre 2 800 interviste a sfollati, decisori politici e operatori del settore è emerso un quadro preoccupante e coerente: i rifugiati e gli sfollati interni cercano di costruirsi una nuova vita dopo lo sfollamento violento, ma si imbattono costantemente in ostacoli, barriere e vicoli ciechi», spiega il coordinatore scientifico di TRAFIG Benjamin Etzold, ricercatore senior presso il Centro internazionale per gli studi sui conflitti di Bonn.
«Centinaia di sfollati hanno condiviso con noi i loro sentimenti di incertezza e provvisorietà e la sensazione dell’attesa infinita di un’opportunità che non è garantita, ovvero un percorso chiaro per uscire da un intricato labirinto di soluzioni temporanee, anno dopo anno.»
Attenzione rivolta alla connettività e alla mobilità degli sfollati
I partner del progetto hanno valutato in che misura le circostanze molto difficili in cui vivono gli sfollati (spesso per molti anni) siano influenzate dalle politiche governative, dai sistemi di asilo, dalle strutture di protezione, dalla fornitura di aiuti e dalle economie dei luoghi in cui vivono. Hanno analizzato anche le relazioni di rete sociale, le interazioni economiche e la mobilità al di là dei rispettivi luoghi di vita e dei Paesi ospitanti.
I risultati pubblicati nella relazione di sintesi di TRAFIG hanno mostrato che la maggior parte dei rifugiati è spesso molto più connessa di quanto si pensasse in precedenza. Infatti, usano le loro reti transfrontaliere per guadagnarsi da vivere, tenersi in contatto con i propri cari e costruirsi un futuro migliore. Tuttavia, l’estensione, l’intensità e l’affidabilità dei legami transnazionali variano notevolmente a seconda dei Paesi, dei siti e dei gruppi di discussione intervistati.
«In poche parole, quanto meglio funzionano le reti di sostegno locali, nazionali e transnazionali, tanto meglio gli sfollati riescono ad affrontare le molteplici difficoltà che incontrano dopo lo sfollamento», afferma Etzold, «e più è facile per loro ricostruire le proprie vite e quindi uscire da una situazione che si protrae».
Sostenere i responsabili delle politiche e gli operatori per aiutare gli sfollati
Il manuale delle politiche di TRAFIG fornisce spunti, esempi, raccomandazioni politiche e buone pratiche, nonché consigli essenziali per elaborare soluzioni sostenibili e incentrate sulle persone per gli sfollati di lungo periodo. Le conclusioni di TRAFIG contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi principali del patto globale sui rifugiati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. I risultati della ricerca saranno utili per chi si occupa di protezione dei rifugiati, integrazione locale, reinsediamento, ritorno e mobilità circolare, oltre a fornire nuovi spunti per le politiche di aiuto umanitario e di sviluppo nei Paesi di prima accoglienza.
Infine, un kit di strumenti per gli operatori contiene idee pratiche su come rafforzare le connessioni durante lo sfollamento. «Ora capiamo molto meglio in che modo si determinano le situazioni di sfollamento prolungato e in che misura sono influenzate dalle reti sociali dei rifugiati e degli sfollati interni», conclude Etzold.